Facciamo una breve cronistoria della promo online dall’avvento di MySpace (diciamo 2006).
All’inizio era tutto una customizzazione del profilo, la gara era a chi ce lo aveva più colorato, più movimentato, più glorioso; e funzionava, perché era il trend del momento. Potevi diventare ‘conosciuto’ anche solo per come gestivi l’account MySpace. Addirittura diventavano un caso quegli artisti che ci scrivevano canzoni su questo argomento, come ad esempio i Dio Della Love con “Ragazza MySpace”.
Poi arriva Facebook e il trend si inverte, non potevi più colorare il tuo account, ti era concessa la creazione di una landing page (chi se le ricorda?), ma fondamentalmente eravamo tutti uguali nella divisa bianco-grigino-blu dipinta da Zuckerberg.
A quel punto si è definito un nuovo modo di promuovere, quello delle ‘call to action’, dove far partecipare i propri fan a delle vere e proprie azioni di promozione. Bellissimo e divertente sulla corta distanza, noioso e ripetitivo sulla lunga. A un certo punto Facebook ha chiuso l’algoritmo, i post giravano di meno in modo organico, così si passava alla fase successiva: la promozione a pagamento.
Il pubblico più radicale non ha accettato il fatto che un artista utilizzasse la pubblicità per promuoversi, storcevano la bocca, “l’arte non si vende” scrivevano; ma erano solo degli scrocconi che in realtà non volevano pagare la musica perché tanto se la scaricavano da UTorrent.
Con Spotify questi scrocconi hanno smesso di rubare e con 10 Euro al mese si sono ritrovati un nuovo giochino, ed hanno capito che i loro orizzonti musicali erano limitati. Le playlist hanno aperto le loro menti, il pubblico è aumentato e il concetto di disco è morto.
Adesso è solo singoli + video; non si sta più sei mesi in studio a sprecare tempo e migliaia di euro. Si registra un brano, si gira il video, si fa un po’ di promozione e si riparte, fino a quando un booking, una label o un manager ci nota.
Questo cambia profondamente il modo di promuoversi attraverso i social.
Adesso il musicista deve avere la responsabilità di offrire qualcosa di straordinario, di unico, con un suo linguaggio personale, nel quale il pubblico deve riconoscersi; perché adesso siamo sotto scatto della Dittatura Degli Utenti, sono loro che selezionano e l’industria li segue.
Ma non dovete pensare al pubblico generalista, alla massa, ma alle persone con le quali relazionarsi in modo personale.
La promozione musicale in versione 2019 si sviluppa attraverso un racconto sulla lunga scadenza, non più con effetti speciali o pesantissime call to action.
Il pubblico si deve fidare di voi e non ama filtri tra la vostra musica e come la rappresentate: potete anche essere un istruttore di fitness e suonare in una band trashmetaldeathcore, se vi mostrate con naturalezza e sincerità, il pubblico sarà più predisposto ad ascoltare la vostra musica, e magari si iscrive pure in palestra.
Questa apertura deve essere anche vostra, ad esempio smettendo di pensare che esiste solo il digitale e la rete; il pubblico deve sentire la vostra musica, scoprirla in più modi possibili, in più luoghi possibili: Shazam è stato proprio inventato per questo.
Certo è che se la vostra musica non piace, la Dittatura Degli Utenti la relegherà in fondo alla Viral 50, per poi scomparire nell’oblio.
Vi rimarrebbe comunque il vostro racconto di istruttore di fitness.

 

Fabrizio Galassi