Gli addetti ai lavori lo sanno: quando il video di una canzone sfonda su YouTube, il successo è assicurato. La controllata di Google, forte del suo miliardo di utenti sparsi in tutto il mondo, rappresenta senza dubbio la platea definitiva per chiunque desideri presentare al pubblico più vasto possibile il proprio lavoro nel modo più pratico ad oggi disponibile, arrivando direttamente sui computer, sui tablet e sugli smartphone di tutto il mondo in pochi clic, e a spese praticamente nulle.
C’è un “però” enorme, tuttavia, che turba i sonni di autori, artisti, editori e discografici riguardo la popolarissima piattaforma di video-sharing, e che – a volerlo proprio strizzare in pochissime parole – potrebbe essere sintetizzato così: la musica, su YouTube, non rende a chi la produce e la mette online, ma a chi la “trasmette”.
Il gigante di San Bruno, come in molti sapranno, è una piattaforma Ugc (user-generated content)  nata per offrire gratuitamente contenuti generati dagli utenti. La posizione dominante di YouTube è rafforzata da una applicazione distorta delle norme del “safe harbor” (“porto sicuro”) – introdotte a metà degli anni Novanta in Europa e Stati Uniti – che sostanzialmente solleva da responsabilità le piattaforme digitali di distribuzione dei contenuti rispetto alle violazioni commesse attraverso i loro servizi. Questa condizione, di fatto, rende inattuabile la compensazione contrattuale dei vantaggi degli intermediari e permette a YouTube di negoziare unilateralmente i contratti di licenza con i titolari dei diritti delle canzoni trasmesse in streaming sul proprio portale. E qui veniamo al dunque: secondo il più recente report diffuso da CISAC – International Confederation of Societies of Authors and Composers, il più importante organismo globale che riunisce 239 Società di gestione del diritto d’autore di 123 Paesi e per tutti i repertori artistici, della quale SIAE fa parte – il consumo di musica in streaming ha dominato nel 2016 e ha continuato ad espandersi anche nel 2017, generando alle società di collecting a livello globale 948 milioni di euro nel 2016, in crescita del 51% su base annua. Ricordate del “però” al quale abbiamo fatto cenno prima? Bene: secondo lo stesso rapporto, i Digital Service Provider che generano maggior valore per gli aventi diritto sono quelli che si basano su modelli di business che prevedono abbinamenti a pagamento, come – ad esempio – Spotify o Deezer.
Il nodo della questione è proprio qui: piattaforme come YouTube ricavano dalla diffusione dei contenuti pubblicati dagli utenti molto più di quanto facciano i provider che hanno simili contenuti come loro core business.
Questo, in sostanza, è il problema che nella discografia contemporanea viene chiamato “value gap”, fenomeno traducibile in italiano con l’espressione “trasferimento di valore”. Ma…

 

Cosa si intente per “trasferimento di valore” per gli autori nel mondo digitale?
Esiste un sostanziale divario – noto come value gap – tra i ricavi delle grandi piattaforme di distribuzione dei contenuti creativi in rete e il compenso riconosciuto a chi ha creato i contenuti e ha investito per pubblicarli. Nonostante il consumo digitale delle opere dell’ingegno come la musica sia esploso, stiamo assistendo ad un impoverimento per il settore creativo. Gli aventi diritto dei brani musicali ottengono troppo poco dall’utilizzo online delle loro opere.

 

Da cosa deriva il trasferimento di valore?
La prima causa è da attribuire alle norme del “safe harbor”, ovvero l’esenzione da responsabilità delle piattaforme digitali di distribuzione dei contenuti rispetto alle violazioni commesse attraverso i loro servizi. Si tratta di leggi adottate a metà degli anni ’90 quando l’offerta di contenuti in rete non era ancora una alternativa ai mezzi tradizionali. Oggi queste piattaforme sono diventate la fonte principale di contenuti musicali e audiovisivi ma continuano a sfruttare impropriamente e a loro vantaggio questa obsoleta normativa, evitando così di avviare serie ed eque trattative con i proprietari dei contenuti grazie ai quali generano enormi profitti.       

 

Quali sono le richieste delle società di collecting rappresentate da CISAC per affrontare il trasferimento di valore?
CISAC sta facendo pressione affinché i Governi di tutto il mondo adottino misure legislative per affrontare il problema. Tra il 2016 e il 2017 l’opportunità di apportare modifiche legislative si è focalizzata a livello di Unione Europea. Le proposte della Commissione europea di settembre 2016 sono state accolte come un primo passo positivo ma, nonostante la direzione sia quella giusta, c’è ancora da lavorare per arrivare ad un risultato tangibile. I principi chiave per cui le società di gestione collettiva del diritto d’autore stanno conducendo una campagna in Europa sono gli stessi a livello globale: dagli Stati Uniti in il Copyright Office studia una revisione più ampia della legge sul copyright digitale, all’Australia, dove i creatori si sono opposti alle proposte del governo di estendere le esenzioni di responsabilità per i fornitori di servizi online.

 

 

Per approfondire http://www.rockol.it/news-682398/cosa-chiedono-autori-ed-editori-musicali-a-youtube-siae-faq-33