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Riceviamo da Claudio Ferrante, Presidente e fondatore di Artist First, e pubblichiamo:
Da Venerdi 7 Luglio, come da voi stessi riportato, le classifiche di vendita ufficiali FIMI/GFK vengono redatte con un nuovo criterio: oltre agli album fisici e digitali più venduti, vengono conteggiati anche gli streaming, cosi come accade già da qualche anno per la classifica dei singoli. Il criterio: album da 10 tracce, 1300 streaming che equivalgono ad un download album o ad un acquisto fisico, e due limiti che pongono un tetto al conteggio: per il montante degli stream una singola canzone non potrà pesare più del 70%, e un massimo di 10 ascolti al giorno per utente per canzone.

 

Un Venerdi epocale per la discografia. L’introduzione di un criterio che rivoluziona le classifiche di vendite in modo definitivo, che considera un tot di stream al pari di un acquisto in negozio. Uno stravolgimento che sposta l’ago della bilancia su tutta la nuova scena, indubbiamente più forte su Spotify o Apple e meno sul supporto fisico.

 

Lunedi però si consuma il pasticcio: la FIMI, come di consueto, pubblica sul proprio sito le certificazioni degli Album più venduti, e, miracolo, compaiono Brunori Sas, TheGiornalisti e Mannarino, tra gli altri, certificati Album Oro.

 

Beh – dico tra me e me – gran bella notizia per la musica! Conoscendo però i numeri, e le singole unità mancanti al raggiungimento delle soglie di certificazione, mi dico subito che il criterio di conteggio delle unità è sballato.

 

Passano venti minuti, e le case discografiche interessate vengono prontamente informate da FIMI che le certificazioni da questa comunicate anche attraverso i social sono annullate. La spiegazione fornita è che GFK avrebbe commesso errori nel conteggio, cumulando retroattivamente tutti gli streaming non nella settimana di competenza (30giugno-8Luglio) ma dal 1 Gennaio.

 

Possibile che una società di rilevazione, punto di riferimento statistico a livello europeo, adotti deliberatamente un criterio e certifichi dei titoli senza condividerlo con il proprio committente? Quindi FIMI e le tre aziende Sony, Universal, Warner? Perché dovrebbe? Sarebbe una patata troppo bollente, un rischio troppo grande certificare dati con un criterio non condiviso.

 

Pensate adesso per un attimo alla due telefonate, prima quella in cui un rappresentante di Carosello comunica a TheGiornalisti il raggiungimento di un traguardo importante per un progetto, e poi alla doccia fredda successiva dell’ “abbiamo scherzato”. Pensate alla percezione che le persone coinvolte nell’episodio hanno avuto dell’intera industria, pensate ai giornalisti (non al gruppo musicale, stavolta), al tiro al piccione, alla discografia che è morta, al che “bastano 4 album venduti per ottenere un disco di platino”.

 

Pensateci. Perché è di questo che parliamo. Parliamo di una superficialità sconcertante di chi ha voluto applicare un criterio, seppure attuale in altri paesi, ma assolutamente prematuro per il nostro, in cui il digitale non supera il 25%, ed il supporto fisico è ancora preponderante. Certo, è l’Italietta retrograda, quella che non si aggiorna, ma prendiamone atto. Il 75% di questo paese compra ancora CD e Vinili.

 

Per approfondire http://www.rockol.it/news-676414/certificazioni-fimi-annunciate-e-smentite-parla-claudio-ferrante